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LA LINGUA DI TRUMP

Titolo: 

LA LINGUA DI TRUMP

Autori: 
Bérengère Viennot
Casa editrice: 
Einaudi, 2019, Pp. 95, Euro 14,00

Ora che il trumpismo sta volgendo verso il tramonto appare quanto mai opportuno riflettere sulle tante facce della gestione di Donald Trump comprese le forme linguistiche ed i canali di trasmissione da lui utilizzati. Rispetto a questi ultimi, è nota la passione di Trump verso le comunicazione a mezzo Twitter (credo che si sia perso il conto delle migliaia di tweet lanciati dall’ex presidente) compresi gli effetti spesso abbastanza devastanti che tali messaggi hanno provocato come reazione nei destinatari e nel pubblico, in generale. Altrettanto nota è la tendenza a fare delle gaffe, pronunciare espressioni inopportune, goffe o rivelatrici di grande ignoranza, come quando disse al Presidente Sergio Mattarella “i nostri paesi sono amici da migliaia di anni…”. E, non casualmente, a Trump sono stati attribuiti un esercito di nomignoli come quelli nel tempo affibbiatogli dall’autorevole quotidiano The Washington Post; alcuni di questi sono Donald the Donnie, King Lear, The Lying King, Cheeto Benito, Donald Chump, Donald Dodo, The Infuriator, Trumpty Dumpty, The Orange Mephistopheles, The Fraud of Fifth Avenue, fino al più recente King Kong provocato dalla sua, per così dire, “riluttanza” ad abbandonare il potere e riconoscere la vittoria a Joe Biden.

Il lavoro di Bérengère Viennot, esperta e nota traduttrice francese, docente di traduzione presso l’Université Paris VII, coglie naturalmente una sola sfaccettatura del complesso mondo (potremmo dire: mondo mentale, dato che il linguaggio è espressione della mente) di Donald Trump, tenendo anche presente che Trump, nelle sue uscite pubbliche, ha anche (forse inconsapevolmente) usato il suo aspetto fisico a sostegno dei messaggi che lanciava.

Da quando il libro è uscito ad oggi l’autrice è stata chiamata in numerosi sedi, comprese le sedi televisive e radiofoniche, per parlare di questa sua ficcante analisi. Un’analisi originale che può essere di grande aiuto a tutti coloro che dell’oratoria e della dialettica devono professionalmente avvalersi proprio al fine di evitare di cadere nelle trappole di un eloquio anarchico e irresponsabilmente informale. Anche perché non va dimenticato che nel mondo del lavoro una gran parte della qualità della gestione – management e leadership – passa attraverso le verbalizzazioni e l’utilizzo di canali di trasmissione appropriati. E, come Trump insegna, un soggetto di potere può avvalersi (purtroppo) di espressioni aggressive, violente, denigratorie, volgari, sarcastiche, mettendo vieppiù in soggezione – o decisamente intimorendo – i propri interlocutori, e creando un campo minato per ogni, futura interlocuzione.

La lingua di Trump rappresenta uno specchio di come un soggetto autoritario può far uso dell’espressione verbale, anche nella direzione del dire-e-non-dire, nella direzione del permettersi di contraddirsi costantemente facendo finta di nulla, o nella direzione di pronunciare falsità che, ripetute tante volte, alle orecchie dei meno attenti diventano incontrovertibili verità. E sulla falsificazione della vita sociale, nel mondo della politica ma anche nel vasto mondo delle organizzazioni e delle istituzioni, vi sarebbe molto da dire.

Nei diciotto capitoli del libro di Bérengère Viennot sono passati in rassegna tutti gli elementi costitutivi del linguaggio trumpiano, del modo di esprimersi di un soggetto proveniente dai reality televisivi, egotico, ostentante, narcisistico, convinto di essere amato dal popolo e di essere il salvatore dell’America. Il suo modo di parlare è frammentato, ripetitivo, infarcito da semplici parole insignificanti come badgoodgreat, o dalle espressioni da bardi pancia (che tanto piacciono a tutti coloro che amano i populisti), su una linea binaria che divide il mondo in buoni e cattivi. Tanto che, alla fine, l’autrice si chiede un po’ sgomenta: “è consapevole almeno un po’ di essere al di sotto del livello medio di espressione di un adulto istruito, e a maggior ragione di un presidente americano?” (p. 19). Del resto è nota l’avversione di Trump per la cultura, la lettura e per lo studio delle documentazioni, tanto che qualcuno ha avanzato l’idea che egli abbia difficoltà di attenzione che gli impediscono di leggere testi appena un po’ lunghi. Il suo livello di istruzione è molto basso – una volta esclamò “Il Belgio è una città molto bella!” – considerando anche che i suoi interessi sono solo due, il business e il golf. L’estrema volgarità della lingua di Trump è fatta risalire, tra l’altro, all’incapacità di filtrare ciò che pensa e ciò che dice, ritenendo inoltre di essere del tutto in diritto di esprimere offese e denigrazioni verso chiunque, ma anche di rappresentare la realtà in modi palesemente falsi: in ciò egli ha forse seguito l’incredibile affermazione del suo avvocato, Rudolph Giuliani, che in un’intervista TV una volta disse “La verità non è la verità!”.

Come ho sottolineato recensendo il libro del 2017 a cura di Bandy X. Lee The Dangerous Case of Donald Trump: 27 Psychiatrists and Mental Health Experts Assess a President (recensione pubblicata sulla rivista Psicoterapia e Scienze Umane, 52, 2, pp. 324 – 327, 2018) soprattutto negli USA si è sviluppato un grande dibattito sull’ipotesi che Trump non sia mentalmente sano. Senza entrare nel merito di una disputa complessa, in molti credono che Trump sia caratterizzato dal narcisismo maligno, o distruttivo, una forma di vera e propria psicopatologia che quando è incarnata da soggetti di potere è decisamente pericolosa.

 

Andrea Castiello d’Antonio

 

Questa recensione è stata pubblicata sulla rivista HR On Line, n. 4, 2021