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INTERNET ADDICTION

Titolo: 

INTERNET ADDICTION

Autori: 
Daria J. Kuss, Halley M. Pontes
Casa editrice: 
Series: Advances in Psychotherapy – Evidence-Based Practice, Volume 41, pp. 90. Hogrefe, 2019, $ 29.80.

La dipendenza psicologica da differenti e varie situazioni di vita prende la sua forma specifica nel momento in cui si applica ad una determinata condizione. Nella vita sociale, e anche nella vita di lavoro, la dipendenza da internet è emersa con tutta la sua evidenza, dando vita al concetto di Internet Addiction, di cui si è iniziato a parlare verso la metà degli Anni Novanta. Da allora ad oggi si sono sviluppate diverse ipotesi su questa specifica dipendenza e differenti modi per valutarla e trattarla, in soggetti di ogni età, compresi i soggetti adulti che devono usare internet per motivi professionali.

La dipendenza da internet non va vista confinata soltanto alla dipendenza da videogiochi, giochi online, entertainment, sesso virtuale e simili, dato che essa si manifesta in molte altre maniere e può “colpire” persone che sono portate a fare un uso massiccio della rete per motivi di lavoro. Un esempio evidente in questo campo è rappresentato da coloro che svolgono attività di ricerca di informazioni in rete - persone che devono essere per necessità connessi con una molteplicità di siti web e fonti di dati – o altri soggetti che hanno l’esigenza di realizzare interazioni professionali online (com’è il caso dei global team e dei virtual team).

La Internet Addiction, o Virtual Addiction si colloca nel campo delle dipendenze comportamentali e situazionali ma è spesso accompagnata anche da altre problematiche psicologiche (comprese, eventualmente, altre forme di dipendenza, come il Workaholism). Una delle definizioni più accreditate vede questa dipendenza come una manifestazione ossessiva e compulsiva che comporta un utilizzo senza freni della rete accompagnato da un atteggiamento che è sperimentato come di “normalità” dal soggetto, assenza di sintomi evidenti e (aggiungerei) tendenza a razionalizzare e a giustificare il proprio comportamento. Da un lato vi sono coloro che ne parlano in modo chiaro ed esplicito come una vera e propria dipendenza, mentre altri preferiscono sfumare la situazione – almeno quando non risulta particolarmente grave – verso la definizione del problematic Internet use, soprattutto quando i contorni non sono ben circoscritti e la situazione si applica al social networking.

Una delle componenti oggettive che si accompagna alla dipendenza da internet in ambito organizzativo è la information overload, cioè il rischio di essere subissati ed invasi da una quantità di informazioni che, infine, non sono più gestibili dalla persone e complicano la vita e l’elaborazione delle situazioni.

Naturalmente la dimensione tempo gioca in questi casi un ruolo importante nella misura in cui il tempo è bruciato da uno stare e rimanere incollati al video del pc o degli altri device che possono essere usati, sia tra le mura del luogo di lavoro, sia all’esterno. La pressione culturale ad agire in tal modo, la pressione sociale, la tendenza a volerci conformare al gruppo di appartenenza, ma anche aspetti più interiori, come l’utilizzazione di internet quale regolatore degli stati emotivi personali, non fanno altro che complicare un quadro già di per sé abbastanza allarmante – anche se molti tendono a precisare la necessità di distinguere tra un addictive use da un excessive use -.

Certamente, non solo la necessità di essere informati (e, quindi, la ricerca costante delle news) ma anche la necessità di leggere ed inviare le email, rendono talvolta difficile distinguere tra un utilizzo francamente malato ed uno tendenzialmente fisiologico della rete. Un elemento che sicuramente distingue queste due condizioni è rappresentato dal grado di danneggiamento o indebolimento della sfera psicosociale e emotiva della persona, e dal livello di problematiche che la dipendenza innesca nella vita reale, lavorativa e non lavorativa.

Il fascicolo scritto da Daria J. Kuss e Halley M. Pontes (entrambi della britannica Nottingham Trent University) è suddiviso in otto parti. La prima parte è di certo importante perché imposta il campo di discussione e offre una serie di punti di riferimento in assenza dei quali non è possibile inquadrare la dimensione della dipendenza da internet. Oltre a definizioni concettuali e a sintesi di ricerche epidemiologiche che spaziano in tutte le aree di questa dipendenza, emerge l’analisi del processo di dipendenza e delle sue variegate manifestazioni, sia in soggetti adulti, sia in soggetti in età evolutiva (qui credo che sia importante notare ciò che accade nell’adolescenza e nella tarda adolescenza che, oggi, termina molto in là nel corso della vita).

Le teorie ed i modelli della internet addiction sono esposti nella seconda parte. Il panorama che è rappresentato probabilmente non riesce a dare conto di tutte le impostazioni che oggi convergono al fine di spiegare tale situazione di dipendenza (e altre consimili) ma, comunque, offre al lettore una visione chiara e di facile lettura. Le sezioni tre e quattro sono quelle più strettamente cliniche in quanto espongono considerazioni sia sulla diagnosi – aspetto importantissimo, in ogni contesto o situazione – sia sul trattamento, e a queste segue la parte quinta in cui è narrato un caso esemplare di dipendenza da internet.

Il testo si chiude con altri tre settori che offrono l’opportunità di approfondire il tema sia con il supporto della classica Bibliografia, sia con una sezione di letture consigliate, mentre l’ultima parte – l’Appendice – indica al lettore strumenti e supporti atti a verificare la presenza della dipendenza da internet.

 

Andrea Castiello d’Antonio

 

La mia recensione del testo Internet Addiction è stata pubblicata sulla rivista periodica HR OnLine.