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IL MANAGEMENT BY STRESS

management by stress

In questi tempi in cui, giustamente, è emersa l’attenzione alla dimensione della “gentilezza” nel management e, più in generale, nella vita di lavoro, non si può dimenticare che in certe situazioni ed ambienti organizzativi ancora vige ciò che alcuni decenni fa ho definito “Management by Stress”.

Verso la metà degli Anni Ottanta, lavorando in qualità di psicologo nella Direzione Personale & Organizzazione di Alitalia, mi soffermai a pensare su una particolare forma di gestione delle persone che avevo modo di constatare essere diffusa in più di una unità operativa della nostra compagnia di bandiera di allora.

Assegnai a tale forma gestionale l’etichetta di Management by Stress – sarebbe preferibile definirlo “distress” – e le dedicai un primo contributo verso la fine degli Anni Ottanta al quale, poi, seguì una sorta di “aggiornamento” a distanza di circa venti anni (Castiello d’Antonio, 1987, 2008).

Cosa è il MBS - Management by stress?

Sostanzialmente avevo avuto modo di osservare in molti manager di line e di staff uno stile di azione e di comportamento organizzativo che mi pareva fondato sulla gestione del proprio e soprattutto dell'altrui distress.

Il contesto di riferimento era quello di aziende caratterizzate da efficientismo, pragmatismo e spinta produttiva, orientate a ridurre i costi del personale e massimizzarne le prestazioni.

Alcuni tra i tanti segni della cultura d'impresa che avevo osservato indicavano: la visione del lavoro come sacrificio, fatica e tensione; la presenza fisica indefinita (senza limiti temporali) in azienda, vista come presidio del ruolo e della funzione, in un clima in cui era necessario guardarsi non solo dalla concorrenza esterna, ma anche dai propri colleghi; lo scetticismo verso idee e modelli del passato, ma anche la critica verso gli onnipresenti slogan, accompagnato dalla sollecitazione a "fare, muoversi, darsi da fare!".

Questa nuova Via italiana verso l'efficienza sembrava in realtà dannare le tante persone nobilmente protese a difendere la causa e ad immolarsi sul campo.

In particolare, i capi vivevano e facevano vivere ai propri diretti collaboratori, un clima di perenne battaglia, l'ansia dell'incertezza del domani, il distress prolungato, silenzioso, opaco, obbligato e ripetitivo del dover sempre correre e fare, non pensare e agire, talvolta sorretto dalle false deleghe (visibili allorché si delegano doveri, compiti, responsabilità, senza dare autonomia e risorse per assolverli), puntando sulla competizione interna e massimizzando la pura e semplice quantità di lavoro assegnata.

Il pressing quotidiano rendeva le persone schiave del lavoro, come pezzi di ingranaggio incapaci ed impossibilitati a pensare.

L'MBS osservato anche nel medesimo ambiente in cui lavoravo mi sembrava particolarmente allarmante dato che tendeva a tagliare con un solo colpo d'ascia l'attenzione alla qualità del lavoro.

La FORMAZIONE era piegata alla ricerca del consenso e all'indottrinamento addestrativo di pronta resa, la SELEZIONE doveva produrre d'urgenza e senza pianificazione il numero di candidati necessari alle linee, la GESTIONE doveva assicurare l'allineamento comportamentale dei dipendenti, lo SVILUPPO premiava naturalmente i manager duri ed aggressivi, che "portavano a casa i risultati", senza chiedersi altro circa il loro stile gestionale.

Dunque, tale stile di gestione aveva, ed ha, un pesante risvolto negativo che investe l’intero “CAPITALE UMANO”.

Al posto dell’enfasi sul “benessere organizzativo”, in una situazione simile si scatenano tutte le possibili dietrologie e i potenziali malesseri personali, sociali e di ruolo, comprese le NEVROSI ORGANIZZATIVE, le PSICOPATOLOGIE MANAGERIALI. Tutte le disfunzioni nell'esercizio del potere.

Al fondo di tutto ciò si può intravedere l’assenza di una rappresentazione etica e moderna dell'essere umano al lavoro, una rappresentazione che sappia dare conto della complessità soggettiva, relazionale e sociale del nostro mondo professionale di oggi che dovrebbe sempre meno “fare finta” e sempre più, al contrario, centrarsi su pochi, autentici, valori di base.

Il rischio è, invece, quello di avere in mente rappresentazioni desuete e di gestire le persone sulla base di questi modelli inattuali, chiedendo loro di partecipare alla vita aziendale e pretendendo da loro “cose” sbagliate e nel modo sbagliato.

Lo sviluppo culturale e professionale delle direzioni del personale rappresenta ancora oggi un ambito su cui continuare a spendere energie: infatti, è specificatamente in tale contesto che è possibile sviluppare idee e modalità costruttive di operare a beneficio dell'intero management aziendale e di tutti i collaboratori.

Nel mondo dell’impresa privata e pubblica c’è ancora molto da fare in termini di evoluzione culturale globale e di sensibilizzazione ad una formazione delle risorse umane che sia autentica, credibile, visibile a tutti, comprensibile, basata su poche ma chiare linee di intervento.

Imprenditori, dirigenti e manager d’impresa hanno nelle loro mani il potere di migliorare il mondo del lavoro: l’auspicio è che riescano ad usarlo, e ad usarlo per il bene di tutti.

 

Andrea Castiello d’Antonio

 

Riferimenti:

Castiello d’Antonio, A. (2020), IL CAPITALE UMANO NELLE ORGANIZZAZIONI. METODOLOGIE DI VALUTAZIONE E SVILUPPO DELLA PRESTAZIONE E DEL POTENZIALE. Hogrefe, Firenze.

Castiello d’Antonio A. (2024), L’AGGRESSIVITÀ DISTRUTTIVA NEL MONDO DEL LAVORO. IL MOBBING E LE ALTRE FORME DI VIOLENZA ORGANIZZATIVA. Hogrefe, Firenze.

Andrea Castiello d’Antonio, UN "NUOVO" MODO DI DIRIGERE LE PERSONE: IL MANAGEMENT BY STRESS (pubblicato nella rivista: Direzione del Personale, 1987).

Andrea Castiello d’Antonio, IL MANAGEMENT BY STRESS, VENTI ANNI DOPO (pubblicato nella rivista: Direzione del Personale, 2008).