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Hikikomori tra lockdown, pandemia e solitudine

Hikikomori tra lockdown, pandemia e solitudine

Stare in disparte. Questo è il significato letterale dell’espressione giapponese Hikikomori, qualcosa che sta ad indicare una situazione estrema di ritiro sociale che colpisce prevalentemente gli adolescenti e i giovani adulti.

La situazione è visualizzabile con facilità in internet consultando l’area delle “immagini”. 

Immagini che ripropongono incessantemente soggetti sprofondati nei pochi metri quadrati della loro camera, chiusi nel proprio mondo senza avere contatti con l’esterno se non quello della rete, del computer e di numerosi altri pc e device tecnologici. Una sorta di spazio protetto, di bunker tecnologico, in cui la persona vive, cioè dorme, mangia, legge, studia, mantiene rapporti virtuali con il mondo esterno e, in tal senso, “comunica”…

Ciò che sembrava essere un fenomeno quasi incomprensibile e, comunque, collegato a una realtà particolare com’è la società e la cultura del Giappone oggi sembra che stia dilagando anche nel nostro Paese. E’ difficile quantificare tutto ciò – alcuni hanno scritto di oltre centomila persone che, in un modo o nell’altro, sono cadute vittime di tale chiusura al mondo – ma anche se i numeri fossero molto di meno di quelli indicati si tratterebbe comunque di una condizione da prendere con molta serietà. Anche perché la pandemia Covid-19 non ha certo facilitato!

Un essere umano che sceglie di isolarsi, staccarsi dai contatti personali, chiudersi in un mondo in qualche modo artificiale, vivere una vita che è a metà tra il virtuale e l’isolamento sociale, autoescludendosi, autoemarginandosi dal mondo reale e anche dai rapporti più stretti (familiari, amici, compagni di studio o di lavoro) rappresenta di per sé un problema non solo individuale, ma anche sociale. Almeno nel senso che rappresenta un “indicatore” di qualcosa di nuovo che sta avvenendo.

Difficile comprendere la situazione che spinge una persona, giovane o adulta che sia, a ritirarsi in tal modo – un ritiro che è certamente, oggi, facilitato proprio da quelle tecnologie che dovrebbero, invece, sviluppare le connessioni nel modo più ampio possibile…

Ogni caso è a se stante e ogni persona va, appunto, trattata come persona, unica ed irrepetibile, con rispetto e con ascolto totale: anche perché il filo di speranza che lega queste persone alla vita che chiamiamo “normale” è sottile. E c’è una enorme differenza, per fare un esempio, tra un giovane adolescente che si rinchiude nella sua cameretta a valle di dissapori e incomprensioni familiari, e un giovane adulto che lavora da casa in ambito informatico e pian piano scivola nell’isolamento fisico, sociale, spaziale, non esce più di casa e non vede più nessuno.

Per alcuni, già predisposti, il lockdown è stato un momento idilliaco, un momento in cui non vi era necessità di giustificarsi con nessuno… Per altri questa scelta di chiamarsi fuori dalla vita, per come in genere essa si intende, è portata avanti con rabbia e talvolta violenza, anche verso se stessi… Altri ancora sono fieri della scelta fatta, sentendo di essere coraggiosi e speciali. 

In ogni caso, accanto alle persone che hanno deciso di auto-recludersi ve ne sono molte altre che, pur non avendolo ancora deciso, sono lì, sul limite. Queste persone, hanno delle grandi possibilità di farsi aiutare, di decidere di chiedere aiuto in tempo. E l’aiuto è, naturalmente, la psicoterapia. Ma anche l’educazione familiare, cioè la consulenza rivolta all’intero nucleo familiare o verso le relazioni significative, dato che troppo spesso il soggetto che si autoesclude lo fa perché avverte una eccessiva ed opprimente pressione sociale, di genere prestazionale.

Sarebbe semplicistico vedere nel soggetto che si isola “il problema”, e in tutti gli altri “la normalità”!

Ma chi si isola – per un motivo o per l’altro – e pensa di poterlo-volerlo fare in un tempo limitato, deve essere avvertito che potrebbe essere inghiottito da tale situazione, suo malgrado

Il cielo in una stanza può affascinare e… portare via…

A fine gennaio questa nuova situazione è stata rappresentata da Sky Documentaries (e Now, in streaming) con Essere Hikikomori. La mia vita in una stanza, mentre alcuni che sono stati vittime di tale situazione hanno potuto raccontarla in interviste e talk show. E’ bene che se ne parli e che si rappresentino queste situazioni al fine di non abbandonarle in un doppio-vuoto esistenziale e di comunicazione. 

 

Andrea Castiello d’Antonio