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COACHING. WHAT REALLY WORKS

Titolo: 

COACHING. WHAT REALLY WORKS

Autori: 
Jenny Rogers
Casa editrice: 
SAGE, 2021, Pp. X+177, £ 83.00 (Hardback)

Jenny Rogers ha abituato da tempo i suoi lettori a gustare i suoi scritti e i testi che lei stessa ha scelto di pubblicare nelle collane che ha gestito nel corso del tempo. In linea con altri suoi lavori, anche questo libro, uscito nel 2021, presenta numerosi spunti di interesse che sono concretamente anticipati dal titolo stesso. Infatti, scrivere di coaching non è, oggi, particolarmente originale, ma scriverne nell’ottica di illustrare qualcosa che davvero funziona porta con sé qualcosa di nuovo e di stimolante.

Il testo si apre con un ricordo personale dell’autrice, di quando cioè venne in contatto con alcuni libri di Irvin Yalom – molti dei testi di Yalom sono stati tradotti in italiano: ad esempio, Il dono della terapia (pubblicato in inglese nel 2002 e tradotto da Neri Pozza nel 2014) che è uno dei lavori che Jenny Rogers cita – e le si aprì un mondo. Un mondo presentato con parole semplici, comprensibili, chiare, con humor e umiltà (come sottolinea l’autrice) centrato sull’importanza della relazione tra terapeuta e cliente e sull’arte di saper ascoltare. Così l’autrice rende omaggio ad alcune persone che sono state per lei particolarmente importanti – some wonderful people, ancora una volta con le sue stesse parole – sottolineando la ricchezza che si può vivere e trarre confrontandosi con i colleghi coach. E quale modo migliore di introdurre il lettore al tema se non rappresentare una sorta di scena di coaching, una stanza che potrebbe essere collocata in una qualunque città del mondo, in cui il coach attende l’ingresso del suo coachee?

Un testo apparentemente semplice, questo di Jenny Rogers, in realtà non solo denso di considerazioni e riflessioni – oltre che di non numerosi, ma efficaci, riferimenti bibliografici – ma anche di consigli e suggerimenti che nascono dall’esperienza professionale non meno che da ciò che è stato pubblicato dai migliori colleghi a livello internazionale. I ventinove capitoli che sono racchiusi tra l’Introduzione e la Conclusione iniziano con il porsi una serie di domande sul come giunge la persona ad intraprendere il percorso di coaching, quali sono le sue attese e come lo stesso coach sente e vive questo momento iniziale, concludendo con il suggerimento: “ascolta i tuoi istinti, in questa fase. Se senti qualcosa che non va, probabilmente è proprio così” (p. 9).

Proprio come in ogni buona (e sana) psicoterapia, le prime fasi dell’attività di coaching sono (anche) dedicate e definirne i confini e, con essi, le reciproche aspettative. In questa fase l’autrice vuole anche distinguere e al meglio individuare quelle che chiama le sette tribù in cui colloca tutto ciò che si può pensare si agiti intorno all’area del coaching, dal mentoring alla formazione, fino alla consulenza e alla terapia. E’ importante capire cosa il cliente ha in mente quando si parla di coaching, quale miscela chimica di idee (uso un’espressione simile a quella utilizzata da Jenny Rogers) si sta coagulando intorno alla proposta di iniziare il percorso di coaching.

Ben presto, nel corso di queste pagine, sono sfiorati, a volte affrontati e altre volte dipanati una quantità di elementi problematici che si manifestano abbastanza regolarmente nel corso dell’attività professionale – cosa che dovrebbe indurre qualcuno a regolamentare (finalmente!) in modo serio il coaching e l’executive coaching, sperabilmente vedendo scomparire la folla dei mental coach e affini… (giunge voce che, ultimamente, nel nostro Paese, persino coloro che prima si definivano istruttori nell’arte della seduzione stiano optando per l’auto-definizione di mental coach per darsi una patina un po’ più rispettabile).

Tornando al lavoro di Jenny Rogers – lavoro serio e basato su riflessioni di grande spessore – alla illustrazione di momenti di colloqui di coaching e situazioni specifiche di singoli coachee seguono numerose considerazioni che tendono a collocare i problemi che i clienti presentano nell’arco complessivo della loro vita: “ognuno porta i propri problemi di vita” (p. 24), chiosa l’autrice, affrancando il coaching da quelle maglie strette che lo vorrebbero vedere come una sorta di ginnastica per migliorare la performance!

Dando uno sguardo al ruolo del coach, potrà capitare che egli, in qualche momento, dovrà forzare il perimetro delle proprie conoscenze ma l’importante è che riesca comunque a mantenersi dentro l’ambito della reale e vera competenza professionale che possiede. Rimandando il giudizio (quella famosa abilità che consiste nel sospendere il giudizio…) e osservando se stessi mentre si osserva il coachee, il percorso si snoda lungo quella particolare interazione chiamata da molti – in modo non proprio originale, direi – coaching conversation. Qualunque cosa ciò voglia significare, si deve qui notare lo sforzo che è stato fatto a livello internazionale per dare al coaching un suo posto nel mondo assai variegato e spesso non ben frequentato delle attività di formazione e di consulenza di sviluppo del capitale umano. 

Jenny Rogers prosegue affrontando tematiche di grande interesse che qui è solo possibile citare come ad esempio, gli stili di attaccamento e la necessità di rendersi conto delle situazioni traumatiche che ha vissuto (o che sta vivendo) il coachee.

Mi sento di sottolineare soprattutto i richiami dell’autrice ad essere autentici, e a non fare gli intellettuali (o, peggio ancora, aggiungerei, non fare gli psicologi, quando non lo si è), considerando che anche i professionisti che siedono sulla poltrona di coach sono essere umani e, quindi, vulnerabili: in tale direzione “molti coach si rendono conto della necessità di sviluppare delle routine auto-protettive” (p. 162) e di inquadrare la loro attività in un contesto di vita sufficientemente sano. 

Dunque, questo recentissimo libro di Jenny Rogers rappresenta anche un invito a vivere una vita felice, con l’avvertenza che il coaching – proprio come la psicoterapia (aggiungo) – non è esattamente una di quelle strade che possono rendere ricco il libero professionista. Almeno non ricco in termini di denaro…

 

Andrea Castiello d’Antonio

 

Questa recensione è stata pubblicata nel mese di Aprile 2022 nel sito PANORAMA RISORSE UMANE / ISPER ed è visibile qui