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Le “onde lunghe” del terremoto: le ricadute psicologiche per chi vive lontano dal sisma

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Nulla è come prima, per nessuno di noi

Le persone che vivono nelle aree di prossimità o, addirittura, nelle zone limitrofe all’epicentro sperimentano sensazioni forti di panico e smarrimento.
Tali soggetti hanno spesso la necessità di tempo per superare il trauma, e di un aiuto specifico nell’elaborazione di ciò che hanno visto, sentito e vissuto.  

Accanto a tali persone ve ne sono altre che hanno vissuto le “onde lunghe” del terremoto. vivendo in zone lontane, ma subendo, comunque, l’impatto con una onda d’urto notevole. Persone che non hanno intorno a loro morte e distruzione, che non devono sfollare e abbandonare tutto, ma che rimangono lì dove sono, a fare una vita apparentemente normale, cioè “come prima”.    

In realtà, nulla è come prima, per nessuno di noi. L’innegabile dimensione dell’imprevedibilità è ora un dato certo.

In qualunque momento e in aree territoriali molto vaste potrebbe verificarsi ancora una scossa, un “muoversi delle cose” intorno a noi che appare davvero irreale, tanto forte è il cambiamento di prospettiva che tale esperienza induce nella mente delle persone.

Numerose persone iniziano comunque a vivere una sorta di “nuova vita” in cui la possibilità di vedere le mura di casa ondeggiare o sussultare diventa reale e tangibile.

La speranza di poter tornare ad una situazione “ante” è, per l’appunto, una speranza: ognuno ne ha diritto, ma la realtà è sempre diversa dalle speranze e dai desideri, per il semplice e ineludibile fatto che la realtà corre per suo conto e non si cura dei bisogni e dei desideri umani.

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Dopo l’ultima, intensa scossa di fine ottobre 2016 molte persone hanno un timore generalizzato, fanno fatica a prendere sonno, dormono con intorno a loro una serie di “cose” che sono quelle importanti da portare via nel caso di una fuga precipitosa. Altri continuano a fare una vita “normale”, ma ogni tanto avvertono una sensazione di sbandamento, sembra che il tavolo su cui stanno lavorando ondeggi un po’, sembra che non sia il vento a muovere le tende e le finestre…

La precarietà fa il suo ingresso nella nostra vita.

Pensando e sperimentando io stesso queste sensazioni mi torna alla mente l’ammonimento dei comandanti sul fronte di guerra che, apparentemente impavidi, rimanevano esposti al fuoco del nemico, dando così prova di coraggio e cercando di infondere coraggio ai soldati. E alle truppe giovani e meno esperte che sotto i bombardamenti sbandavano e correvano verso qualcosa percepito come un riparo, gridavano “Non ci sono luoghi sicuri! Rimanete ai vostri posti!”.

Ecco: non ci sono posti sicuri. Non vi è nulla di completamente sicuro e l’esperienza del terremoto mette tutti noi di fronte alla caducità delle cose, fino al punto di confrontarsi con la caducità della vita. Ancora una memoria, questa volta credo comune a molti, ai molti che hanno studiato Giuseppe Ungaretti nei lunghi anni di scuola: Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. Una poesia (“Soldati” del 1918) che è come una lama di acciaio nel cuore delle persone.

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Certo, non si può minimamente paragonare l’esperienza dei soldati in trincea della prima guerra mondiale con quella di noi, oggi, di fronte alla possibilità di essere coinvolti in un terremoto. Eppure, la sensazione di base è simile: l’incertezza, il timore diffuso, l’impossibilità di prevedere alcunché, la consapevolezza ora vaga ora nitida che ciò che è accaduto ad altri potrebbe accadere anche a noi. Consapevolezza che, nella dimensione sociale ed etica, diviene sinonimo di compassione e di desiderio di aiutare, ma che nella dimensione individuale ci porta continuamente incontro alla fragilità del nostro essere e, in ultimo, alla fragilità della vita.