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Le zavorre di Alitalia: raccomandazioni, sprechi, inefficienze

La crisi che viene da lontano 

Sono stato in Alitalia nella Direzione Personale & Organizzazione, a metà degli Anni Ottanta. L’azienda a quel tempo era divisa in due tronconi, ognuno gestito da un Amministratore Delegato, si diceva l’uno espressione della Democrazia Cristiana, l’altro del Partito Socialista Italiano.

Come psicologo esperto, nell’ambito della funzione Risorse Umane, fui chiamato in Alitalia dal nuovo responsabile dello sviluppo R.U., un bravo professionista che proveniva da una delle migliori società di consulenza internazionali del tempo. Uno dei suoi obiettivi era evitare che Alitalia divenisse sempre di più “Aliroma”. Nel senso che il potere politico centrale tendeva a gestirla come se fosse una sua piccola bottega privata.

Ricordo una collega, simpatica e dinamica, che lavorava per otto ore al giorno, tutti i giorni, soltanto alla gestione delle raccomandazioni! E non era un lavoro facile, leggendo le firme delle lettere di raccomandazione che arrivavano numerose. Un campione di queste lettere, in copia, l’ho conservato, perché è davvero un interessante spaccato della gestione del potere (non solo politico) di 30 anni fa.

Poco tempo dopo il mio ingresso nella Compagnia di Bandiera mi resi conto che la selezione dei programmatori EDP per i Sistemi Informativi – l’allora rinomato C.E.D. Alitalia – poteva essere condotta da noi psicologi interni, invece che appaltata ad una società di consulenza, com’era da sempre. Utilizzando gli stessi test psicologici, si abbattevano i costi di due terzi, e l’impiego di tempo per noi era minimo. Nonostante ciò, fu difficile convincere i decisori che si potevano risparmiare molte decine di milioni di lire ogni semestre, in più avendo la gestione diretta del processo di valutazione.

Anche la selezione psico-attitudinale dei piloti era affidata a una società esterna. Una volta selezionati, i giovani piloti erano inviati alla Scuola di Volo di Alghero per seguire il training. Il problema era che il tasso di non idonei alla Scuola di Volo era sempre più alto. Condussi uno studio, in collegamento agli addestratori di volo di Alghero, sui candidati rifiutati nel training, e divenne chiaro che la società di consulenza impiegava tecniche di selezione – per non pensare ad altro – del tutto inefficaci. Ma non ci fu nulla da fare! Le cose proseguirono così, e mi resi conto che nessuno, in Alitalia, si era mai preso la briga di andare a vedere come si effettuava la valutazione dei piloti nelle altre compagnie aeree, almeno in Europa. E non vi era nemmeno interesse a farlo: del resto, “sponsor” di ogni genere raccomandavano giovani candidati piloti. Lettere di raccomandazione in cui il potente di turno scriveva spesso che nemmeno conosceva direttamente il soggetto raccomandato, di cui “gli era stato detto molto bene”.

Quando proposi altre innovazioni di metodo (che però, evidentemente, impattavano su delicati equilibri interni ed esterni) un collega “anziano” della Direzione Personale & Organizzazione mi accusò di fare la filosofia della gestione del personale – in realtà si trattava di fare meglio e con meno costi le attività di sviluppo di ciò che oggi si chiama Capitale Umano! –. Un altro mi consigliò di non mettermi di traverso e, con nonchalance, mi mostrò un biglietto da visita. Non c’era il suo nome. C’era scritto: Giulio Andreotti, e l’indirizzo.

In questo magnifico clima, nell’ambito della formazione, in quei tempi Alitalia lanciò un programma di formazione fondato sul metodo dell’Assertività, anche questo, naturalmente, completamente gestito da una società di consulenza. La reazione del personale fu sintetizzata nello slogan Assertività? No, grazie! Un fallimento. Perché? Perché fu imposto un metodo di gestione del cliente basato su valori e culture del tutto estranee al contesto italiano. E il fallimento costò diverse centinaia di milioni di lire. Ma i costi non sembravano preoccupare nessuno. Da un’indagine che condussi insieme all’ex consulente che voleva evitare di continuare con Aliroma, risultò che le proposte delle agenzie di consulenza non venivano negoziate. Si pagava ciò che le società proponevano in preventivo, e questo significava, rispetto al mercato di allora, pagare tra il 200% e il 300% in più dei costi medi del settore della consulenza HR. Successivamente emerse che meccanismi simili erano diffusi in molti centri di costo della Compagnia, ad esempio in relazione all’acquisto di SW e HW per il C.E.D. Un’abitudine condivisa!

Sono rimasto in Alitalia pochi anni, comunque anni istruttivi e intensamente vissuti. Ho un ricordo molto bello della nostra ex Compagnia di Bandiera, (non posso dimenticare l’eccezionale competenza professionale dei tecnici della manutenzione che lavoravano negli hangar dell’Aeroporto Leonardo da Vinci), meno bello di tante persone che avrebbero potuto contribuire a farne un’azienda di eccellenza, e che invece hanno contribuito a rovinarla. A quel tempo il presidente era Umberto Nordio, un galantuomo, ma sotto di lui, nei gangli della piramide aziendale, tra lotte di potere, cordate, favoritismi e interessi vari, non si può dire che l’ambiente fosse idilliaco. Verso la fine della gestione Nordio (1988) si erano create due famiglie trasversali in Alitalia: i professionisti seri, che lavoravano per il bene della compagnia, e i miracolati politicizzati che miravano alla gestione del potere personale.

Sono trascorsi 30 anni da questi ricordi, 30 anni in cui in Alitalia sono stati progressivamente cooptati pseudo-manager e dirigenti che, se fossero stati scelti in ottica meritocratica e con tecniche di assessment psicologico non sarebbero risultati idonei nemmeno a ricoprire il posto di usceri!